Riportiamo una parte iniziale del Report dell’Istat sulle Imprese e le ICT nel 2022.
Le PMI si connettono di più ma la transizione digitale procede con lentezza. Ad ogni edizione di indagine, il comportamento delle imprese viene valutato rispetto a 12 caratteristiche specifiche che contribuiscono alla definizione dell’indicatore composito di digitalizzazione denominato Digital Intensity Index (DII), utilizzato per identificare le aree nelle quali le imprese italiane ed europee incontrano maggiori difficoltà. Con riferimento ai 12 indicatori per classe di addetti, i divari maggiori si riscontrano, a scapito delle PMI (imprese con 10-249 addetti), nella presenza di specialisti ICT, nella decisione di investire in formazione ICT nel corso dell’anno precedente, nell’uso di riunioni online e di documentazione specializzata sulle regole e le misure da seguire sulla sicurezza informatica. Ampio anche il divario nell’utilizzo di robot e nella vendita online di almeno l’1% del fatturato totale, che riduce in modo significativo la quota complessiva di imprese con almeno 10 addetti che fanno ricorso a questi strumenti. Rispetto al 2019 la quota di PMI nelle quali nell’anno 2022 più del 50% degli addetti hanno accesso a Internet per scopi lavorativi è aumentata quasi del 23%, eguagliando i tassi di crescita delle grandi imprese (passando rispettivamente dal 40% al 49% e dal 47% al 58%). Nello stesso periodo, più marcata è la crescita degli addetti delle PMI che utilizzano dispositivi connessi a Internet, che aumenta dal 50% al 56% annullando la distanza con le grandi imprese (55,2%). La banda larga fissa con velocità almeno pari a 30 Mbit/s risulta utilizzata dall’82,8% delle imprese 10+ contro il 96,1% di quelle più grandi. Più distanti invece le quote per connettività ad almeno 1 Giga, rispettivamente 13,2% e 27,1%. Gli indicatori non sono neutrali rispetto alle attività economiche svolte dalle imprese: per la maggior parte degli indicatori di connessione, sicurezza e formazione ICT, le migliori performance vengono registrate dalle imprese appartenenti al settore della domanda di ICT specializzata e quello connesso alla fornitura di energia (D), in cui operano l’86,4% delle imprese che hanno almeno il 50% degli addetti che accedono a Internet (la media è 49,3%), il 93,3% che ha attivato almeno tre misure di sicurezza ICT (circa 20 punti percentuali più della media) e il 38,3% che ha fornito formazione in campo ICT ai propri addetti (19,3% imprese 10+). Analoghe le performance dei settori delle professioni tecniche (M) e dei servizi di informazione e comunicazione (J); questi ultimi si distinguono per la presenza di specialisti ICT (59,9% verso una media del 13,4%) e la formazione effettuata per aggiornare o sviluppare le competenze ICT dei propri addetti (52,5% verso 19,3%).Infine, le attività manifatturiere (C) emergono per l’utilizzo della robotica (19,1% a frontediunamediadell’8,7%) mentre con il 36,8% quelle di alloggio e ristorazione (I) sono le prime per l’utilizzo delle vendite online per valori superiori all’1% del fatturato totale a fronte del 13,4% delle imprese con almeno 10 addetti.
Il DII, riferito alle sole PMI con un livello DII “di base”, è uno dei sub-indicatori della transizione digitale delle imprese misurata dall’Indice di digitalizzazione dell’economia e della società(Desi)a cui il programma “Bussola digitale 2030”ii ha attribuito anche un target (90%) da raggiungere entro il 2030:
Nel 2022 il 69,9% di imprese con 10-249 addetti si colloca a un livello base di digitalizzazione che prevede l’adozione di almeno 4 attività digitali su 12 ma appena il 26,8% si colloca a livelli definiti almeno alti dell’indicatore. Al contrario, per il 97,1% delle imprese con almeno 250 addetti si registra un livello almeno base e l’82,1% ha raggiunto quello almeno alto.
Rinviamo al testo integrale del Report dell’Istat.
https://www.istat.it/it/files//2023/01/REPORTICTNELLEIMPRESE_2022.pdf
Caro Donato,
prendo a prestito da Mark Twain un modo di dire molto noto sulle bugie:”le bugie, le bugie sfrontate e le statistiche”, per evidenziare la fine che le purtroppo le statistiche fanno.
E’ un grandissimo peccato, perché finiscono purtroppo con l’essere derubricate e dimenticate.
Quando ci troviamo di fronte a dati, come quelli indicati, certificati da una fonte autorevole come l’ISTAT, dovremmo farne oggetto non solo di commenti, ma di iniziative concrete; le PMI dovrebbero trarne maggiori stimoli per intensificare l’ammodernamento delle loro organizzazioni.
E’ il caso di dire che è necessario valorizzare l’informazione di qualità e i dati statistici prodotti da fonti ufficiali e pubbliche come quelli dell’Istat. Valorizzare i dati significa usarli per le attività di governo, di programmazione, di direzione, di gestione, di monitoraggio e controllo sia nel settore privato che pubblico. E quindi uscire dalle nebbie di tanta informazione prodotta e diffusa in rete che risulta senza qualità, dannosa, che apparentemente è prodotta “come capita” ma che poi si rivela utile a mettere in crisi il sistema sociale ed economico senza motivazioni valide.