Perchè una riforma “radicale” dei modelli di organizzazione delle pubbliche amministrazioni? Per rendere efficaci i processi di trasformazione e transizione digitale; per qualificare i servizi in rete per cittadini ed imprese; per attuare concretamente le esigenze di partecipazione dei cittadini; per rendere veramente trasparente l’azione amministrativa e le decisioni pubbliche; per un monitoraggio permanente del rapporto costi/benefici delle attività e dei servizi amministrativi.
La riforma delle organizzazioni pubbliche riguarda 30 mila pubbliche amministrazioni (ministeri, comuni, province, regioni, scuole, sanità, servizi pubblici, ecc.). La riforma è necessaria se si pensa che il modello di base delle P.A. è di tipo gerarchico, formalistico, rigido, scarsamente semplificato e trasparente; l’attività prevalente è caratterizzata dalla produzione di “pratiche”; non esiste la cultura di operare per “progetti”; il personale pubblico addetto non è adeguatamente formato non solo per le attività ordinarie ma soprattutto per supportare processi di innovazione. Se non si riforma radicalmente la PA sarà difficile rendere efficace il PNRR.
La riforma è necessaria se si pensa come sono “franati” (sotto Covid e cambiamenti climatici) i modelli dei servizi sanitari, della protezione civile; la scarsa attenzione per il territorio (eccessivo consumo di suolo ed eccessiva cementificazione; mancanza di una cultura sulla sicurezza dell’ambiente, del territorio e del paesaggio); i danni conseguenti al fallimento di questi modelli organizzativi superati che ancora oggi supportano le attività amministrative ed i servizi ai cittadini. Si tratta anche di superare modelli organizzativi di tipo quasi esclusivamente gestionale e non anche basati sulla logica di programmazione, di monitoraggio permanente, senza un approccio sistemico. Con un uso “antiquato” di processi di automazione prevalentemente basato su applicativi verticali per risolvere singoli problemi amministrativi, senza una visione complessiva degli stessi processi digitali. Non si può procedere solo nella logica della “emergenza” (passata la quale si ricade nella logica burocratica).
Le nostre burocrazie operano nella logica della ridondanza di dati, di procedure, di procedimenti (con costi elevati per il singolo cittadino e per le comunità).
Allora, quali elementi dovrebbero caratterizzare il modello di base (il meta-modello) delle PA?
Gli elementi essenziali e necessari che dovrebbero caratterizzare ogni amministrazione pubblica sono già ben definiti dalla normativa vigente (e non c’è bisogno di produrre altre leggi in merito):
a) amministrazioni semplificate, trasparenti e nativamente digitali (tre elementi che devono essere garantiti in modo integrato);
b) qualità dei dati (aggiornati, completi, accessibili, sicuri, ecc.) per le decisioni, per i controlli e la qualità dei servizi; progettazione del sistema dei dati;
c) sistemi documentali amministrativi digitali (secondo le regole tecniche Agid); siamo all’anno zero;
d) amministrazioni in rete (sia all’interno delle proprie organizzazioni e sia con le altre amministrazioni) per operare nel rispetto del principio della interoperabilità; questo principio ancora non è stato reso diffusamente operativo;
e) servizi progettati e realizzati in modalità digitale e con riferimento alle esigenze dei cittadini; verifica sistematica della soddisfazione degli stessi cittadini;
f) formazione permanente della dirigenza e dei dipendenti sui propri sistemi burocratici, sul modello di organizzazione (semplificazione, digitalizzazione, evoluzione, ecc.)
g) impegno sistematico e permanente dei decisori pubblici a monitorare il proprio modello organizzativo al fine di renderlo sempre efficace e funzionale rispetto alle esigenze dei cittadini.
h) l’organizzazione del lavoro pubblico deve rispettare tutti i principi indicati; coerenza tra modello organizzativo generale e modello organizzativo del lavoro.
L’organizzazione pubblica strutturata nel rispetto dei principi, dei criteri e delle funzionalità sopra indicati può così “dignitosamente” transitare verso un futuro di amministrazioni moderne.
Caro professore,
la tua road map, che promuovi da molto tempo, sarebbe auspicabile perchè, soprattutto nell’ultimo quinquennio, la spesa strutturale pubblica sta aumentando in modo consistente lasciando alle future generazioni un farrdello molto pesante.
Le riforme attuate sono sempre andate ad aggiungere sovrastrutture, materiali od organizzative, nelle diverse articolazioni di governo senza mai sottrarre nulla, questo modello ovviamente incrementa oltre ai costi anche la burocrazia, più strutture decisionali equivalgono inevitabilmene a più tempo per le decisioni.
Quindi grazie per la tua persevetanza auspicando che qualcuno abbia finalmente la capacità di recepire i tuoi suggerimenti.
Sono trent’anni che sento le stesse cose. Queste qui espresse sono, ciascuna, cruciale ma, quando ascoltata, mai portata a stabile compimento.
Mi associo all’augurio di rapido ascolto dei suggerimenti
Caro Giovanni anche con il PNRR ho la sensazione che non procederemo a riforme essenziali e funzionali delle nostre burocrazie che continueranno ad essere regolate da norme e normette che complicheranno la vita amministrativa e i rapporti tra burocrazie e cittadini. Il legislatore può (e deve) esercitare la sua funzione non solo per aumentare le regole (quando serve) ma anche per eliminare le regole quando a tutti appaiono essere inutili se non dannose. Tutti affermano che è necessario semplificare (da oltre 30 anni) ed il risultato è sotto gli occhi di tutti: la celebrazione della complicazione amministrativa. Credo che il PNRR debba essere l’occasione buona per cambiare rotta. Se non si cambia? Lasceremo ai nostri giovani un mondo pieno di debiti ma anche pieno di complicazioni (una beffa!).
Ringrazio l’amico Enzo per le sue considerazioni. Sì, è necessario uscire da questa logica di riforme a strati che serve a sistemare, a volte, situazioni particolari ma che complica la situazione amministrativa complessiva in quanto aumenta la ridondanza di tutto(dati, documenti, procedure, ecc.). Le riforme hanno senso se stabiliscono principi e criteri di base di modelli e poi lasciano l’attuazione all’autonomia amministrative dei diversi enti. In presenza del principio della semplificazione amministrativa è necessario (vincolante) semplificare tutto quello che serve a cosa? a rendere facile l’amministrazione e il rapporto con il cittadino. Se oltre al principio di semplificazione il legislatore inizia a dettagliare cosa semplificare, come, con tutte le eccezioni e riserve allora i frantuma il principio stesso della semplificazione. L’art. 15 comma 2 del Codice dell’amministrazione digitale stabilisce con chiarezza (in attuazione della legge 241/90) cosa semplificare (tutto: fasi, documenti, allegati, tempi, durate delle fasi e durata complessiva delle attività, ecc.). E questa legge 241/90 è l’espressione più plastica di come si possa rendere un colabrodo ed inutile una legge fondamentale come la 241/90. E che ci sono aspetti psicoanalitici anche nei lavori del legislatore!